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Non poter tornare indietro

Lego blocks close up

Quando le persone della mia generazione hanno imparato ad usare il computer, molto spesso con il programma per scrivere, ricordo che uno degli aspetti rassicuranti era la possibilità di rimediare agli errori: “Se sbagli qualcosa non preoccuparti: con la funziona torna indietro ritorni alla situazione di prima”.

Lego blocks close up

E così tutti ci siamo buttati a fare le nostre prove e i nostri esperimenti, tanto, se non va bene, torno indietro!

Lo stesso capita quando si lavora con i file: “Non preoccuparti se per caso butti qualcosa, ci puoi sempre ripensare e lo ripeschi dal cestino!”.

Questa possibilità si è talmente radicata nel nostro modo di lavorare che normalmente la diamo per scontata in qualsiasi operazione facciamo con il computer. Mi capita di toccarlo con mano quando parlo del coding e faccio vedere e pasticciare altri insegnanti con Scratch.

Una delle domande che arrivano quasi subito è: “Ma se sbaglio come faccio a tornare indietro?”, oppure “Ho sbagliato, come faccio a tornare a come era prima (dell’errore)?”

Di solito rispondo con una metafora: Quando si gioca con il Lego si può tornare indietro? Se, per qualche motivo, quello che hai costruito si rompe o se hai cambiato idea e vuoi cambiare, non ti resta che rifare tutto da capo oppure tornare indietro distruggendo la parte che serve per tornare al punto da cui vuoi cambiare. E poi, a me capita quasi sempre, mentre ricostruisci, cambi qualcosa, lo migliori, lo sistemi perchè prima era venuto male. Mentre stai costruendo, cominci a stare più attento a quello che fai, e, se devi cambiare qualcosa, prima di disfare e rifare ci pensi due volte.

Mi sono reso con che il coding funziona allo stesso modo. Cominci pian piano a costruire il tuo progetto, metti in fila i blocchi di comandi (blocchi di testo o blocchi visuali alla scratch) e cominci pian piano a verificare se effettivamente funziona quello che hai solo immaginato. E se devi fare qualche operazione rischiosa impari un metodo di lavoro che ti permette di tornare indietro, ad esempio facendo una copia del tuo lavoro e lavorando su quella, così che se va storto qualcosa butti il tuo esperimento e hai di nuovo il codice che funziona. Cominci ad essere un po’ più rigoroso e, prima di muoverti, impari ad analizzare il problema e ad ipotizzare possibili soluzioni prima di metterle in pratica.

Questa mi sembra una prima lezione importante che si impara quando cominci a lavorare con il codice: immaginare i propri errori e imparare a immaginare le conseguenze di quello che si fa, perchè non si torna indietro.

Come i bambini

sitting toddler on seashore at daytime

Mi accorgo adesso che è più di un anno che non scrivo riflessioni in queste pagine. Vediamo di rimediare.

Nelle esplorazioni di strumenti utili per la scuola mi sono imbattuto nel sito La Digitale. Ho trovato molte risorse, tutte in francese. Infatti il programmatore che ha progettato tutti gli strumenti presenti, Emmanuel Zimmert, è un insegnante francese che lavora in Danimarca, a Copenaghen.
Il materiale costruito da Emmanuel è rilasciato in modalità condivisa. Quindi ho esplorato pian piano tutto, traducendo in italiano quei servizi che mi sembravano più spendibili o utili per l’attività didattica a scuola.
Il lavoro di Zimmert parte però da alcune riflessioni che ha condiviso nella pagina con le ragioni del progetto, in cui parla di Outil numérique éducatif responsable. In quella pagina, quello che mi ha colpito è stata questa considerazione:

Un outil numérique responsable considère également l’utilisateur comme responsable et l’aide à mettre en place de bonnes pratiques. (Uno strumento digitale responsabile considera allo stesso modo l’utilizzatore come responsabile e lo aiuta a mettere in atto buone pratiche)

In particolare la critica al sistema delle notifiche a cui siamo tanto abituati.

Est-il toujours nécessaire d’être inondé de notifications pour nous indiquer dans un flux continu ce qu’il se passe en ligne, ce qu’untel a fait, a commenté, etc.? Il s’agit bien entendu de capter le fameux temps de cerveau disponible… (È sempre necessario essere inondati da notifiche per indicarci in un flusso continuao cosa succede on-line, quello che qualcuno ha fatto, ha commentato, ecc? Si tratta di occupare il famoso tempo disponibile del cervello)

Est-il toujours nécessaire que notre téléphone, ce cher ami, nous dise (dicte?) ce qu’il faut faire, où il faut aller à chaque instant ? Ne trouvez-vous pas cela infantilisant? Utilisons-nous encore notre bonne vieille mémoire humaine? (È sempre necessario che il nostro telefono, questo caro amico, ci dica (ordini?) cosa fare, o dove andare in ogni momento? Non trovate che questo sia infantilizzante? Usiamo ancora la nostra cara vecchia memoria umana?)

Questo rimando alla condizione infantile ha cominciato a girarmi nella testa: un bambino piccolo quando ha qualche cosa che non va chiede l’intervento di qualcuno attraverso il pianto e di solito l’adulto risponde al bisogno del momento (la fame, il fastidio, il non riuscire a fare qualcosa…). In alcuni casi si può arrivare anche a prevedere questi bisogni dando al bambino quello che vuole prima ancora che lo chieda. Per un bambino piccolo crescere cosa fatica, ogni conquista è una fatica, e un adulto sa che questa fatica è necessaria per affrontare la vita di tutti giorni, per maturare, per imparare cose nuove, scoprire il mondo.…

Quando si parla di digitale questo approccio e questo metodo educativo viene spesso dimenticato: le parola d’ordine sono facilità d’uso, immediatezza, divertimento… Appena si richiede un minimo sforzo che può andare dal leggere un breve testo al capire il senso di una frase esplicativa o al cercare un’icona che non è dove ci aspettiamo, e non capiamo subito cosa fare, si cedono le armi e la prima reazione è dire: “Ma come è difficile!!”

E allora se dobbiamo inviare un link ad una pagina web o ad una video chiamata abbiamo bisogno che la mail si autocomponga inserendo automagicamente tutti i riferimenti necessari. Oppure troviamo i file che ci servono solo se sono sul desktop, se abbiamo bisogno di andare ad un sito di cui conosco l’indirizzo uso un motore di ricerca invece che scrivere direttamente nella barra degli indirizzi del programma di navigazione internet.

Gli esempi che posso fare sono innumerevoli e ognuno ne può trovare altri, ma sorge subito questa domanda: è proprio sempre così giusto e necessario delegare ad altri ciò che potremmo fare noi con un minimo sforzo? Non dà più soddisfazione e più consapevolezza saper fare cose? Non aumenta la nostra competenza?

Io credo che lo sforzo valga la candela e valga la pena provare un po’ di più, senza arrendersi al primo ostacolo. Così potremo crescere da una situazione digitale infantile ad una adolescente verso una maturità digitale che possa portarci a scelte consapevoli e emancipatorie.

Come i francesi

In questi giorni di emergenza e di lavoro da casa, come faccio da tempo, ho spesso fatto uso e ho cercato di far conoscere gli strumenti offerti dall’associazione Framasoft, in particolare Framatalk (il server Jitsi per fare videoconferenze), Framapad (l’istanza etherpad per scrivere in modo collaborativo) e Framemo (un muro virtuale collaborativo in cui inserire dei post-it).

Adesso che l’emergenza è arrivata anche in Francia mi sono detto: Framasoft sicuramente potenzierà i suoi servizi!

E invece no: dal 16 marzo campeggia un avviso in tutte le pagine che invita gli insegnanti, in modo anche piuttosto perentorio, di non utilizzare i loro servizi perchè “il ministero dell’educazione ha i mezzi, le competenze e la visibilità per creare dei servizi on-line necessari al funzionamento durante il periodo di sospensione“.

Allora vado ad approfondire e mi imbatto in un tweet del corrispondente francese del ministero dell’innovazione che mi rimanda ad una pagina in cui ricorda ai dipendenti pubblici che hanno a disposizione due strumenti utili per il lavoro a distanza:

E allora il mio pensiero va a quello che propone il nostro ministero dell’istruzione: una pagina in cui ha raccolto varie idee di soluzioni di didattica a distanza in cui per esempio compaiono i due soliti noti e manca la piattaforma per eccellenza nella formazione a distanza: Moodle

Moodle ha alle spalle una ricchissima comunità, permette di creare e di gestire corsi di tutti i tipi con gli strumenti utili per le attività di didattica a distanza. È utilizzato da molte scuole superiori, da università in Italia e nel mondo. La rivista Bricks ha dedicato un numero intero per raccontare esperienze fatte con Moodle.

Non inserire Moodle, e anche altri servizi liberi utilizzabili nella didattica a distanza, tra le risorse a disposizione delle scuole mi sembra un errore enorme.

Andando a raccattare risorse gratuite prese dalle aziende è un po’ come se lo stato rinunciasse a costruirsi le scuole, le caserme, gli uffici centrali e periferici e invece preferisse utilizzare in comodato tutto in blocco da privati.

L’emergenza di questi giorni ha evidenziato, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che l’infrastruttura digitale è fondamentale per la crescita e il progresso di un paese, e non mi sembra una buona idea non dedicarci la progettualità, le risorse e l’impegno necessari senza affidarsi a soluzioni chiavi in mano di aziende ma facendo ricorso a strumenti liberi, per costruire servizi per il cittadino, liberi da logiche commerciali.

Questione di dati

In questi ultimi tempi uno degli argomenti più dibattuti ed esplorati è quello dell’utilizzo dei dati. Lo scandalo di Cambridge Analityca ha scatenato una serie di reazioni a catena che hanno svelato un po’ di più quello che viene fatto con i dati che vengono raccolti nei vari social.

Sto leggendo e ascoltando molto su questo argomento e questo post vuole essere una sorta di indice di risorse da consultare per farsi un’idea dell’argomento.

Il primo riferimento che metto è quello del podcast di Dataknightmare alias @waltervannini che ogni mercoledì (quasi sempre puntuale) illustra vari aspetti del GDPR con esempi presi dalla cronaca e ci aiuta ad avere una visione critica del tema del trattamento dei dati e dell’utilizzo consapevole degli strumenti digitali.

Di seguito il riferimento ad un social alternativo e federato: Mastodon. Per me una scoperta che risale alla fine del 2018 e che ho potuto conoscere meglio ed esplorare grazie agli ottimi articoli di @Ca_Gi. È grazie al suo lavoro insieme a quello di @pongrebio che dobbiamo una start page che spiega tutto riguardo Mastodon.

Moltissime sollecitazioni mi arrivano dal mondo Framasoft, un’associazione francese che si è posta come obiettivo quello della Degooglizzazione del web. Per questo ha cercato, customizzato e finanziato progetti che offrono una valida alternativa ai servizi web offerti da Google, con una logica differente: l’utilizzo di software libero (con la possibilità quindi di condividere il codice di quanto viene realizzato) e il rispetto dei dati degli utilizzatori.

Il logo di Framasoft

Insieme a @nilocram e ad alcuni colleghi insegnanti, abbiamo cominciato a tradurre in italiano i servizi che utilizziamo di più e le pagine di spiegazione di Frama* . Il risultato è che ora dei numerosi servizi offerti da Framasoft molti parlano italiano. Un lavoro che procede a singhiozzo ma che non è passato inosservato ai nostri cugini francesi.

Una scoperta di questo fine 2019 sono i due post della Wu-Ming Foundation che ripercorrono le scelte fatte negli ultimi 10 anni rispetto all’uso dei social, e in particolare di Twitter, motivando la scelta di lasciare la piattaforma in questione:

Sono due articoli molto lunghi e articolati, da leggere a più riprese. Uno dei suggerimenti è quello di riprendere in mano la comunicazione attraverso i blog. E infatti eccomi qui a ridare vita alle pagine dello spazio che mi sono ritagliato nel web.

Man mano che troverò altri spunti preziosi cercherò di metterli per iscritto e organizzarli in modo da poterli facilmente ritrovare per poter aiutare chi ha voglia di approfondire la tematica dell’utilizzo e del rispetto dei dati personali.

Aggiornamento del 3 febbraio 2020

Da poco tempo è disponibile un blog in italiano che parla delle soluzioni alternative al mondo Google, si tratta di Le Alternative che ha un canale telegram e un account twitter.

Ex-ministri e Facebook

Leggo che dopo le dimissioni l’ormai ex-ministro del MIUR Fioramonti affida a Facebook le proprie dichiarazioni.

Non è il primo e non sarà l’unico, e ogni volta mi chiedo: perchè questa scelta? Perchè i nostri politici rinchiudono i loro pensieri e le loro dichiarazioni dentro un contenitore di un’azienda che può decidere il bello e il cattivo tempo?

Non è meglio cercare e trovare un luogo proprio, soprattutto se si riveste un incarico governativo ufficiale?

Poi usate pure i vari social per diffonderlo e pubblicizzarlo, ma mantenete l’identità del luogo in cui scrivete.

Pubblicità a scuola? Anche no…. grazie

Alunno con libri che va a scuola

La rete è piena di materiali e ambienti utili per ogni genere di interesse. Per la scuola esistono una montagna di risorse sempre nuove che alla fine dei conti disorientano chi comincia ad esplorare il mare del web. Siamo tutti alla caccia di risorse facilmente fruibili, meglio se gratis, spesso accettando di buon grado situazioni di compromesso.

Siamo talmente assuefatti ai compromessi che il banner pubblicitario, la richiesta di un indirizzo mail a cui arrivano poi comunicazioni di marketing, non ci creano nessun fastidio. Anzi… pensiamo che sia necessario e giustificabile il passaggio di dati in cambio della gratuità e ci dà un senso di sicurezza sapere che alle spalle di un servizio o di una soluzione ci sia un’azienda.

Esiste però anche un altro modo di vivere il web, senza compromessi con nessun fornitore. Mi riferisco agli ambienti del mondo Wikimedia e delle piattaforma parallele dedicate ai bambini. Vikidia (l’enciclopedia rivolta ai bambini di 8 – 13 anni, la parte in italiano sta pian piano crescendo), Wikikids (la versione corrispondente in olandese), Wikimini (una versione presente soprattutto in francese e svedese) sono pulite da tutto l’aspetto commerciale. Chi vuole contribuire deve solo pensare a migliorare quello che trova e lo può fare a diversi livelli: correggendo errori o refusi, aggiungendo informazioni o contenuti, integrando con immagini, creando nuove pagine/voci…

In questi ambienti volendo ci si può iscrivere anche senza avere un indirizzo mail, che però serve per un eventuale recupero della password e per le notifiche di messaggi che arrivano dagli altri utenti e non per altro.

Questo aspetto è uno dei valori che chi frequenta il mondo della conoscenza libera e condivisa spesso non sottolinea con sufficiente forza.

La pubblicità in rete è diventata talmente pervasiva che non ci facciamo più caso. In classe, quando navighiamo per cercare informazioni, video e altro materiale, spuntano da tutte le parti suggerimenti di tutti i generi: abiti, scarpe, l’ultimo gossip…. per non dire altri suggerimenti non sempre opportuni.

Ho riflettuto su questi aspetto dopo che una collega mi chiedeva come fare a condividere, a invitare i propri alunni dentro Vikidia. E allora mi si sono aperti gli occhi, ho visto quello a cui non sono abituato: che dentro Vikidia, Wikiversity, Wikivoyage, Wikibooks non esiste il bottone condividi che invece è presente in tutti gli altri ambienti.

Credo che a scuola abbiamo bisogno di luoghi così: luoghi puliti, senza sotterfugi o doppi fini nascosti, senza cose non dette per favorire alcune scelte invece di altre, di gratuità nel senso di accesso libero alle risorse senza nulla in cambio se non la richiesta di un proprio contributo che possa accrescere il materiale già presente.

Il terminale mi piace

Il terminale

Quando ho incontrato per la prima volta il computer, intorno alla fine degli anni ’80, era normale, per tutti coloro che lo usavano, digitare comandi sulla tastiera per fare alcune semplici operazioni. Erano i tempi del Dos e da allora molte cose sono cambiate. La rivoluzione dell’interfaccia grafica ha cambiato il modo di utilizzare il computer allargando velocemente la base degli utilizzatori.

Infatti con l’interfaccia grafica, con le finestre, tutto è molto più semplice: non ti devi ricordare i comandi, è tutto scritto, e non devi più scrivere niente, basta fare clic sui bottoni giusti.

Quando invece sei davanti ad un terminale le difficoltà aumentano: hai davanti a te un rettangolino bianco (il cursore) che lampeggia in attesa di un tuo comando, e ti senti impotente. Che ci scrivo? E chi li conosce i comandi per fare le cose? Dove devo cliccare?

Quando ho cominciato ad usare Linux spesso ho trovato indicazioni che mi suggerivano di utilizzare il terminale per sistemare le cose o per configurare il sistema. E allora ho capito una cosa: che con il terminale puoi fare un sacco di cose e in modo molto veloce e produttivo.

Ti puoi sentire molto potente: puoi dare direttamente alla macchina i comandi che servono per fare quello che ti serve. Hai in mano la macchina e hai così tante possibilità che sei indeciso su cosa fare.

Vuoi avviare Firefox per navigare in rete? Scrivi il suo nome e schiaccia “invio”.

Vuoi sapere che cosa c’è nella cartella in cui ti trovi? Scrivi il comando ls ed ecco apparire i nomi delle cartelle e dei file.

Vuoi creare una cartella? Scrivi mkdir seguito dal nome della cartella finendo con l’immancabile “invio” et voilà, il gioco è fatto.

E poi, sempre con un solo comando, si possono eseguire operazioni su più file, come per esempio ridimensionare le immagini contenute in una cartella, oppure modificarne il nome.

Infine, nei sistemi basati su Debian (Ubuntu, Mint) si possono installare o rimuovere i programmi: digita apt install nomeprogramma.

E poi ci sono i comandi più complicati, quelli che ti permettono di fare più operazioni una concatenata all’altra. Ma quelli li lasciamo agli smanettoni 🙂

E poi hai sempre a disposizione la guida: digita man e il nome del programma ed ecco la spiegazione.

Tutto molto rapido, essenziale ed efficace. Ma all’inizio anche un po’ difficile, non lo nascondo. Prima bisogna imparare i comandi e poi, aspetto non trascurabile, bisogna imparare ad usare la tastiera per digitare. E con questo intendo utilizzare sicuramente due mani e meglio ancora con almeno tre dita per ogni mano.

In conclusione, probabilmente banalizzando, con il terminale hai tu (con i tuoi limiti) il controllo della macchina, con l’interfaccia grafica dipendi da chi ha preparato la finestra.

Lascio qualche link a delle guide che possono essere utili per muovere i primi passi in questa direzione, in rete se ne trovano veramente tante.

E poi ecco i comandi essenziali riuniti in un’immagine realizzata da Fosswire.com

Guida ai comandi Unix Linux

 

Uso il software libero perchè…

Dopo aver letto su facebook un post di Stefano Ghidini che invitata le scuole a lasciar perdere la scelta del software libero ecco alcuni pensieri a riguardo.

Uso software libero e penso che sia importante fare questa scelta nella scuola per questi motivi.

  • perchè funziona;
  • perchè è un approccio differente, basato sull’indipendenza di ognuno;
  • perchè è un modello che funziona, non a caso i vari google, amazon, facebook sono stati costruiti e si basano su software libero;
  • perchè è meglio insegnare che cosa è e cosa si può fare con un foglio di calcolo invece che addestrare all’uso di uno specifico strumento che poi nel tempo può cambiare;
  • perchè è meglio insegnare la cultura della legalità che è insita nel software libero visto che non bisogna ricorrere a sotterfugi per evitare di pagare il programma;
  • perchè è inclusione, e nella scuola, come a mio parere nella vita, l’inclusione è un grande valore;
  • perchè conviene a tutti, non solo a chi vende o confeziona il software;
  • perchè è meglio comprare servizi che prodotti;
  • perchè usare il software libero aumenta le mie competenze e mi fa crescere;
  • perchè promuove l’uso di standard aperti per una libera concorrenza, senza bloccare tutto come era fino a qualche anno fa;
  • perchè in molti hanno capito che open è meglio, vedi per esempio l’ultima notizia delle università italiane che hanno offerto corsi liberamente accessibili;
  • perchè progetti come wikipedia hanno avuto e continuano ad avere una crescita esponenziale proprio perchè basati su software libero e sulla cultura della condivisione della conoscenza;
  • perchè il software non è un prodotto ma un’idea, e le idee non si possono racchiudere o brevettare, vanno fatte circolare;
  • perchè insieme è meglio (cit. Alberto Ardizzone e Porte Aperte sul Web);
  • ah, dimenticavo… perchè la legge italiana lo impone come prima scelta alle pubbliche amministrazioni;

E ci sono anche tanti altri esempi e motivi per cui è preferibile se non addirittura un obbligo morale per la scuola la scelta del software libero ma io mi accontento di questi.

Quindi per queste e altre ragioni ho deciso di investire tempo e risorse per usare software libero e fare in modo che sia il più usabile possibile. Se anche le aziende lo capissero crescerebbe ancora più velocemente di come ha fatto fino ad ora.

La bicicletta e il web

Chi si permetterebbe di prendere una bicicletta lasciata nella rastrelliera senza lucchetto? Non credo molti di noi.

Eppure facciamo questa cosa quando navighiamo nel web. Quanti di noi fanno una ricerca di un’immagine con Google, fanno scorrere e prendono la foto o il disegno che più gli piace? E quanti si preoccupano di controllare se l’autore ha dato i permessi per farlo? La usiamo e basta, senza farci troppe domande. È un po’ come prendere la bicicletta lasciata senza lucchetto di cui parlavo prima senza porsi nessun problema.

Tutto ciò che è creazione di qualcuno, anche nostra, anche la cosa più semplice, è di nostra proprietà. E se noi non dichiariamo se e come vogliamo condividerla, nessuno può prenderla senza prima chiedercelo, anche se tecnicamente basta fare tasto destro -> salva…. Anche con le biciclette è così: tecnicamente basta saltare in sella e via, nessun artificio meccanico ce lo vieta. Ma abbiamo imparato a non farlo, a rispettare la proprietà degli altri. E allora mi chiedo: perchè consideriamo di tutti quello che troviamo nel web? Solo perchè è tecnicamente semplice salvarlo sul proprio dispositivo?

Sono convinto che la condivisione del sapere sia un motore eccezionalmente potente per far crescere e migliorare le idee, e penso che sia importante che ne venga favorita la circolazione garantendo al tempo stesso la paternità. E allora come la mettiamo? Posso prendere ciò che trovo oppure no?

Ci vengono in aiuto le licenze Creative Commons. Con questo tipo di licenza l’autore (di un’immagine, di un testo, di una canzone….) decide di condividerla e come, in quali termini. È come se sulla bici di prima ci fosse un cartello con scritto: “Questa bici è mia, se ne hai bisogno prendila pure ma poi riportala qui entro stasera“, oppure “Questa bici è mia, se vuoi migliorarla fallo pure“… insomma è dichiarato in modo chiaro ciò che può essere fatto da chi usa in questo caso la bicicletta.

Allora perchè non iniziare la ricerca di ciò che ci serve dal motore di ricerca delle creative commons?