Ci sono un sacco di ambienti per lavorare in team, pensati proprio per quello.
Sto pensando a Mattermost oppure a Rocket.Chat oppure ancora a Matrix/Element, tutte soluzioni che danno la possibilità per esempio di essere installate su server autogestiti. E ai quali non manca proprio nulla: chat, possibilità di fare chat di gruppo focalizzate su un argomento, di condividere file, di fare audio o video chat, il tutto in modo semplice ed efficace
Il problema che è bisogna insegnare a chi vuol lavorare con te ad usarli, e spesso le persone non hanno né la voglia né il tempo per farlo. Quasi sempre la risposta è: ma perchè non usiamo Whatsapp? Tanto ce l’hanno tutti!
I sistemi che ho citato sopra permettono di comunicare con un gruppo di lavoro in modo indipendente dai grandi monopolizzatori del web, i famosi GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) che alla fine sono dei grandi “succhiatori” di informazioni e di dati. E per esempio non hanno bisogno di utilizzare il numero di telefono per aggiungere persone al team di lavoro.
E allora al bando la pigrizia e proviamo ad usarli! Ad esempio registrandosi su [Framateam](https://framateam.org) e avviando un gruppo di lavoro.
Tante volte siamo bombardati da soluzioni differenti per pubblicare un contenuto. Ma in fondo si tratta solo di pagine web.
Ci puoi mettere molte cose: del testo, un’immagine, un video (che puoi inglobare-embeddare direttamente anche se sta da un’altra parte), oppure anche più video messi uno sotto l’altro, in una sequenza ragionata, magari con dei commenti o degli approfondimenti tra un video e l’altro. Oppure ancora inglobare un digipad che permette a sua volta di raccogliere il contributo di altre persone che vogliamo coinvolgere in modo attivo nella costruzione di contenuti. Se poi nel digipad aggiungiamo i fogli condivisi per i lavori di gruppo (etherpad), ecco che abbiamo a disposizione uno strumento molto potente per organizzare un lavoro collaborativo.
Oppure ancora possiamo predisporre un testo arricchito da collegamenti ad altre pagine web, o ad altri siti.
E poi c’è lo strumento molto potente dei feed rss: la possibilità cioè di raccogliere in modo automatico ciò che viene pubblicato in altri siti, o altre piattaforme.
In questo modo diventa piuttosto semplice costruire un punto di partenza, quasi fosse una piattaforma, in cui mettere tutto ciò che serve per organizzare, per esempio, tutto ciò che serve a iniziare a lavorare su un argomento.
Non resta che scegliere lo strumento giusto per fare tutto questo, dal complesso CSM, come può essere WordPress o Joomla, oppure con una semplice pagina web statica da caricare nel proprio spazio web. (non l’avevo ancora detto che può essere molto utile avere uno spazio web proprio in cui mettere quel che ti serve? Ah, per proprio intendo un hosting, non uno spazietto web che ti viene offerto dal gigante del web con un annesso un bel pacchetto di limitazioni che ti vengono imposte)
Quanti di voi con le applicazioni di messaggistica, come WhatsApp o Telegram, fanno uso di messaggi vocali? Credo tutti: sono veloci, immediati, restano a metà strada tra una telefonata e un messaggio scritto. Hanno però un paio di difetti: se devo recuperare un’informazione contenuta in un vocale devo per forza riascoltare il messaggio, se sono sono in una situazione in cui non posso disturbare oppure c’è molto rumore ascoltare un messaggio vocale può diventare faticoso.
Per ovviare a questi due inconvenienti io trasformo il vocale in testo che poi posso leggermi con tutta calma. Come?
Ecco il metodo che uso io. Prima di tutto ho bisogno di aver installato sul mio smartphone l’applicazione Telegram. Lo puoi fare dall’App Store o dal Google Play Store. Telegram è un’applicazione di messaggistica molto simile a WhatsApp.
Una volta fatto questo creo un gruppo in cui metto come partecipante l’utente @trascriber_bot.
L’utente @trasncriber_bot in realtà è un programma che prende un audio, riconosce le parole e le restituisce come messaggi scritto.
Dopo aver creato il gruppo è necessario impostare il bot:
scrivo \start per avviarlo
nel messaggio di avviso compaiono le lingue attive, clicco su \italian
A questo punto non mi resta da fare altro che prendere un audio che arriva su un altro gruppo, selezionarlo e condividerlo in questo gruppo.
Posso fare la stessa operazione anche se il messaggio vocale è stato inviato su WhatsApp: tengo premuto il messaggio per selezionarlo, clicco sull’icona di condivisione, scelgo telegram e in particolare il gruppo dove ho inserito il bot @transcriber_bot.
In questo modo posso leggermi con calma i vocali che mi vengono inviati e recuperare le informazioni anche in un secondo momento senza per forza riascoltare tutto il messaggio.
Usi un altro metodo per trasformare i vocali in testo? Scrivilo nei commenti!
Quante scoperte se vai ad esplorare il mondo del #softwarelibero francese. Ecco qui alcune delle cose interessanti che ho trovato, le metto qui altrimenti va a finire che me le dimentico, troppe cose tutte insieme.
Veniamo al punto:
prima di tutto Framasoft con tutti i suoi servizi e le sue continue sollecitazioni;
Le Communs che non ho ancora ben capito di cosa si tratta, ma ho scovato una serie di servizi;
Tedomum e anche li ho trovato un bel po’ di servizi, come per esempio un bellissimo pad in cui è possibile mettere anche le immagini;
Domain Public che vende hosting sostenibile con servizi liberi a prezzi che mi sembrano onesti;
E poi mi sa che ce ne sono molti altri da scoprire, basta andare a spulciare gli Chatons con la sua pagina di ingresso.
Questo post è disponibile anche sul diario che ho appena cominciato.
In questi giorni di emergenza e di lavoro da casa, come faccio da tempo, ho spesso fatto uso e ho cercato di far conoscere gli strumenti offerti dall’associazione Framasoft, in particolare Framatalk (il server Jitsi per fare videoconferenze), Framapad (l’istanza etherpad per scrivere in modo collaborativo) e Framemo (un muro virtuale collaborativo in cui inserire dei post-it).
Adesso che l’emergenza è arrivata anche in Francia mi sono detto: Framasoft sicuramente potenzierà i suoi servizi!
E invece no: dal 16 marzo campeggia un avviso in tutte le pagine che invita gli insegnanti, in modo anche piuttosto perentorio, di non utilizzare i loro servizi perchè “il ministero dell’educazione ha i mezzi, le competenze e la visibilità per creare dei servizi on-line necessari al funzionamento durante il periodo di sospensione“.
Allora vado ad approfondire e mi imbatto in un tweet del corrispondente francese del ministero dell’innovazione che mi rimanda ad una pagina in cui ricorda ai dipendenti pubblici che hanno a disposizione due strumenti utili per il lavoro a distanza:
una chat dedicata ai dipendenti statali: Tchat basata sul software libero Riot
E allora il mio pensiero va a quello che propone il nostro ministero dell’istruzione: una pagina in cui ha raccolto varie idee di soluzioni di didattica a distanza in cui per esempio compaiono i due soliti noti e manca la piattaforma per eccellenza nella formazione a distanza: Moodle
Moodle ha alle spalle una ricchissima comunità, permette di creare e di gestire corsi di tutti i tipi con gli strumenti utili per le attività di didattica a distanza. È utilizzato da molte scuole superiori, da università in Italia e nel mondo. La rivista Bricks ha dedicato un numero intero per raccontare esperienze fatte con Moodle.
Non inserire Moodle, e anche altri servizi liberi utilizzabili nella didattica a distanza, tra le risorse a disposizione delle scuole mi sembra un errore enorme.
Andando a raccattare risorse gratuite prese dalle aziende è un po’ come se lo stato rinunciasse a costruirsi le scuole, le caserme, gli uffici centrali e periferici e invece preferisse utilizzare in comodato tutto in blocco da privati.
L’emergenza di questi giorni ha evidenziato, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che l’infrastruttura digitale è fondamentale per la crescita e il progresso di un paese, e non mi sembra una buona idea non dedicarci la progettualità, le risorse e l’impegno necessari senza affidarsi a soluzioni chiavi in mano di aziende ma facendo ricorso a strumenti liberi, per costruire servizi per il cittadino, liberi da logiche commerciali.
Una delle cose che mi piace del #softwarelibero è la diffusione non controllata generata dalla condivisione. Per esempio jitsi, di cui pochi erano a conoscenza, un applicativo web per fare video conferenze in modo molto semplice, in una settimana ha avuto prima un picco di richieste, poi una guida scritta da Matteo Ruffoni su wikibooks, che poi ha continuato ad ampliarsi, poi istanze di jitsi che si sono moltiplicate grazie alla disponibilità di tanti.
Risultato:
adesso ci sono almeno 11 posti nel web dove poter fare videoconferenze con jitsi e il server originario ha aumentato le risorse a disposizione per far fronte al carico che ha ricevuto in questo ultimo periodo.
Chi ha offerto le istanze jitsi? Fondazioni, privati cittadini, alcune società. Qualcuno si è messo su in proprio una istanza per i propri usi professionali. Tutto il carico quindi rimane distribuito, decentrato e diffuso. La guida è sempre disponibile e migliorabile.
In questi ultimi tempi uno degli argomenti più dibattuti ed esplorati è quello dell’utilizzo dei dati. Lo scandalo di Cambridge Analityca ha scatenato una serie di reazioni a catena che hanno svelato un po’ di più quello che viene fatto con i dati che vengono raccolti nei vari social.
Sto leggendo e ascoltando molto su questo argomento e questo post vuole essere una sorta di indice di risorse da consultare per farsi un’idea dell’argomento.
Il primo riferimento che metto è quello del podcast di Dataknightmare alias @waltervannini che ogni mercoledì (quasi sempre puntuale) illustra vari aspetti del GDPR con esempi presi dalla cronaca e ci aiuta ad avere una visione critica del tema del trattamento dei dati e dell’utilizzo consapevole degli strumenti digitali.
Di seguito il riferimento ad un social alternativo e federato: Mastodon. Per me una scoperta che risale alla fine del 2018 e che ho potuto conoscere meglio ed esplorare grazie agli ottimi articoli di @Ca_Gi. È grazie al suo lavoro insieme a quello di @pongrebio che dobbiamo una start page che spiega tutto riguardo Mastodon.
Moltissime sollecitazioni mi arrivano dal mondo Framasoft, un’associazione francese che si è posta come obiettivo quello della Degooglizzazione del web. Per questo ha cercato, customizzato e finanziato progetti che offrono una valida alternativa ai servizi web offerti da Google, con una logica differente: l’utilizzo di software libero (con la possibilità quindi di condividere il codice di quanto viene realizzato) e il rispetto dei dati degli utilizzatori.
Il logo di Framasoft
Insieme a @nilocram e ad alcuni colleghi insegnanti, abbiamo cominciato a tradurre in italiano i servizi che utilizziamo di più e le pagine di spiegazione di Frama* . Il risultato è che ora dei numerosi servizi offerti da Framasoft molti parlano italiano. Un lavoro che procede a singhiozzo ma che non è passato inosservato ai nostri cugini francesi.
Una scoperta di questo fine 2019 sono i due post della Wu-Ming Foundation che ripercorrono le scelte fatte negli ultimi 10 anni rispetto all’uso dei social, e in particolare di Twitter, motivando la scelta di lasciare la piattaforma in questione:
Sono due articoli molto lunghi e articolati, da leggere a più riprese. Uno dei suggerimenti è quello di riprendere in mano la comunicazione attraverso i blog. E infatti eccomi qui a ridare vita alle pagine dello spazio che mi sono ritagliato nel web.
Man mano che troverò altri spunti preziosi cercherò di metterli per iscritto e organizzarli in modo da poterli facilmente ritrovare per poter aiutare chi ha voglia di approfondire la tematica dell’utilizzo e del rispetto dei dati personali.
Aggiornamento del 3 febbraio 2020
Da poco tempo è disponibile un blog in italiano che parla delle soluzioni alternative al mondo Google, si tratta di Le Alternative che ha un canale telegram e un account twitter.
Leggo che dopo le dimissioni l’ormai ex-ministro del MIUR Fioramonti affida a Facebook le proprie dichiarazioni.
Non è il primo e non sarà l’unico, e ogni volta mi chiedo: perchè questa scelta? Perchè i nostri politici rinchiudono i loro pensieri e le loro dichiarazioni dentro un contenitore di un’azienda che può decidere il bello e il cattivo tempo?
Non è meglio cercare e trovare un luogo proprio, soprattutto se si riveste un incarico governativo ufficiale?
Poi usate pure i vari social per diffonderlo e pubblicizzarlo, ma mantenete l’identità del luogo in cui scrivete.
La rete è piena di materiali e ambienti utili per ogni genere di interesse. Per la scuola esistono una montagna di risorse sempre nuove che alla fine dei conti disorientano chi comincia ad esplorare il mare del web. Siamo tutti alla caccia di risorse facilmente fruibili, meglio se gratis, spesso accettando di buon grado situazioni di compromesso.
Siamo talmente assuefatti ai compromessi che il banner pubblicitario, la richiesta di un indirizzo mail a cui arrivano poi comunicazioni di marketing, non ci creano nessun fastidio. Anzi… pensiamo che sia necessario e giustificabile il passaggio di dati in cambio della gratuità e ci dà un senso di sicurezza sapere che alle spalle di un servizio o di una soluzione ci sia un’azienda.
Esiste però anche un altro modo di vivere il web, senza compromessi con nessun fornitore. Mi riferisco agli ambienti del mondo Wikimedia e delle piattaforma parallele dedicate ai bambini. Vikidia (l’enciclopedia rivolta ai bambini di 8 – 13 anni, la parte in italiano sta pian piano crescendo), Wikikids (la versione corrispondente in olandese), Wikimini (una versione presente soprattutto in francese e svedese) sono pulite da tutto l’aspetto commerciale. Chi vuole contribuire deve solo pensare a migliorare quello che trova e lo può fare a diversi livelli: correggendo errori o refusi, aggiungendo informazioni o contenuti, integrando con immagini, creando nuove pagine/voci…
In questi ambienti volendo ci si può iscrivere anche senza avere un indirizzo mail, che però serve per un eventuale recupero della password e per le notifiche di messaggi che arrivano dagli altri utenti e non per altro.
Questo aspetto è uno dei valori che chi frequenta il mondo della conoscenza libera e condivisa spesso non sottolinea con sufficiente forza.
La pubblicità in rete è diventata talmente pervasiva che non ci facciamo più caso. In classe, quando navighiamo per cercare informazioni, video e altro materiale, spuntano da tutte le parti suggerimenti di tutti i generi: abiti, scarpe, l’ultimo gossip…. per non dire altri suggerimenti non sempre opportuni.
Ho riflettuto su questi aspetto dopo che una collega mi chiedeva come fare a condividere, a invitare i propri alunni dentro Vikidia. E allora mi si sono aperti gli occhi, ho visto quello a cui non sono abituato: che dentro Vikidia, Wikiversity, Wikivoyage, Wikibooks non esiste il bottone condividi che invece è presente in tutti gli altri ambienti.
Credo che a scuola abbiamo bisogno di luoghi così: luoghi puliti, senza sotterfugi o doppi fini nascosti, senza cose non dette per favorire alcune scelte invece di altre, di gratuità nel senso di accesso libero alle risorse senza nulla in cambio se non la richiesta di un proprio contributo che possa accrescere il materiale già presente.
Alessio Bertolone [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)], from Wikimedia Commons
Mi permetto di portare fuori da Facebook un post di Andreas Formiconi. Seguo costantemente ciò che propone ammirato dalla sua lucidità di giudizio. In questo caso si riferisce al rapporto tra l’insegnante e la modalità di portare gli alunni alla conoscenza. Il commento e la riflessione si inseriscono all’interno del MOOC “Coding a scuola con software libero” che utilizza il linguaggio di programmazione LibreLogo e interpreta in modo esemplare quello che spesso succede tutti i giorni nelle classi.
Ecco il suo post:
Nel chiuso di un forum di un’università “moderna” Roberta scrive un commento interessante, a proposito di esercizi con la Tartaruga di Papert, che sintetizzo così:
*** Dall’analisi è emerso che sono partita con alcune convinzioni:
– non sono brava a fare questo, non conosco quest’altro, sono incapace nelle rotazioni
– devo sapere bene prima di proporre ai minuscoli
– devo dimostrare di saper fare
– se parto dall’inizio e memorizzo i comandi poi sarò in grado di trasmetterli
– non sarò mai capace di preparare un diario come quello presentato nel video introduttivo, né di fare un logo come quello: pieno di curve, rotazioni, angoli
– mi sono sentita in affanno per cercare di far girare la tartaruga come volevo io
Ad un certo punto mi sono resa conto che ho utilizzato tutte le strategie disfunzionali che conosco e che cerco di intercettare nei bambini: pensieri autosabotanti, convinzioni, memorizzazione senza ragionamento. ***
Rispondo:
Sì, soprattutto pensieri autosabotanti, proprio così.
Se porti i bambini a fare una gita in un bosco, mica impari a memoria tutte le caratteristiche del bosco? Al più cercherai di informarti su qualche fatto generale, poi lo scoprirai insieme a loro. E se vi imbatterete in un problema, ebbene, lo scopo è proprio questo: scoprire dei problemi da risolvere che siano interessanti e significativi. Dove troveremo dell’acqua? Cosa ci sarà dietro a quella collina? Qual è la via più veloce per tornare?
Così con la Tartaruga. E se ti imbatti in un problema che non riesci a risolvere subito, benissimo, trasforma il fatto in un gioco. Così sarai più vicina ai tuoi bambini, più simile, più umana. Andrete tutti a casa con un bel punto interrogativo in mente e questo fa tanto bene: avere una bella domanda in testa. Senza domande si muore. Tu magari troverai la soluzione a casa. Te ne servirai i giorni successivi per guidare i bambini, senza fretta. Così impareranno che per risolvere problemi occorre tempo, si avvicineranno al pensiero profondo, impareranno a fabbricare parti di mondo, che è un processo lento. Impareranno.
E mai dimenticare: potrebbe anche succedere che un bambino torni a scuola con una soluzione che tu non avevi previsto – questo è il massimo che puoi sperare.
Insieme a Matteo Ruffoni e ad altri colleghi cerchiamo di diffondere questo approccio esplorativo che non addestra ma avvicina all’emancipazione e alla consapevolezza.
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